GLI
SCIOPERI
DEL MARZO 1944

GLI
SCIOPERI
DEL MARZO 1944

GLI
SCIOPERI
DEL MARZO 1944

GLI SCIOPERI DEL MARZO 1944

Tra il 1° e l’8 marzo 1944, i Comitati clandestini di agitazione del triangolo industriale (Genova, Milano e Torino) organizzarono il secondo sciopero generale di tutte le fabbriche presenti sul territorio della RSI, dopo quello del 23 marzo 1943. L’agitazione rappresentò una delle manifestazioni più significative della Resistenza italiana, coinvolgendo in totale circa 350.000 lavoratori e paralizzando la produzione industriale, inclusa quella destinata alla Germania nazista.

A Torino, l’epicentro iniziale, lo sciopero coinvolse circa 70.000 lavoratori, supportati da commercianti e formazioni partigiane. In Lombardia, altre migliaia di lavoratori si unirono alla protesta, inclusi quelli delle grandi aziende come Alfa Romeo, Breda, Ercole Marelli, Innocenti, e Falck. Anche in Liguria, la mobilitazione fu estesa. A La Spezia, epicentro della lotta, già a gennaio 1944 i lavoratori delle grandi fabbriche Oto Melara, Ansaldo Muggiano e Termomeccanica avevano scioperato, creando un precedente importante. A Savona, circa 5.000 operai delle principali fabbriche – Scarpa e Magnano, Ilva, Servettaz, Piaggio e Brown Boveri – parteciparono attivamente alle agitazioni.

A Genova, le proteste ebbero un seguito tragico: il 16 giugno 1944, 1.488 operai genovesi furono rastrellati all’ingresso delle fabbriche (Ansaldo, Ilva, SIAC) e deportati, in un’azione di brutale repressione nazifascista.

In risposta agli scioperi del marzo 1944, le autorità nazifasciste misero in atto una dura repressione: arresti individuali e collettivi, minacce di morte, deportazioni nei campi di concentramento e la militarizzazione degli stabilimenti furono il prezzo pagato dai lavoratori. Solo a Torino, oltre 100 operai Fiat furono deportati, molti dei quali non fecero ritorno.

Gli scioperi, pur con risultati materiali limitati, furono un segnale inequivocabile di opposizione al regime. Non solo avevano richieste apparentemente economiche – come il blocco dei prezzi, l’aumento delle razioni alimentari e la cessazione delle deportazioni – ma nascondevano una matrice profondamente politica e antifascista. L’azione collettiva, intrecciando la lotta di classe con quella partigiana, contribuì a rafforzare il fronte della Resistenza italiana e a mettere in crisi il regime nazifascista, rendendo visibile l’opposizione interna al sistema.