IL RUOLO DELLE
CARCERI NELLA
DEPORTAZIONE

IL RUOLO DELLE
CARCERI NELLA
DEPORTAZIONE

IL RUOLO DELLE
CARCERI NELLA
DEPORTAZIONE

Carcere “Le Nuove” di Torino

Il carcere giudiziario di Torino, noto come Le Nuove, rappresentò un luogo centrale della repressione nazifascista tra il 1943 e il 1945. Edificato nella seconda metà dell’Ottocento secondo il modello del “panopticon”, il carcere fu destinato durante il regime fascista alla detenzione degli oppositori politici. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca, divenne uno dei principali strumenti della persecuzione nazifascista, ospitando operai, ebrei, partigiani e renitenti alla leva.

Con l’occupazione nazista, un intero braccio del carcere fu gestito direttamente dalle SS. Qui si registrarono numerosi episodi di violenza, interrogatori brutali e torture, spesso condotte su ebrei e partigiani. Il braccio tedesco divenne tristemente noto per le condizioni di vita disumane e le atroci sofferenze inflitte ai prigionieri. Uno degli episodi più drammatici fu la morte di Emanuele Artom, giovane partigiano ebreo, commissario politico della V Divisione Giustizia e Libertà, che morì il 7 aprile 1944 a seguito di torture. Il suo corpo, sepolto nei dintorni di Torino, non venne mai ritrovato.

Le condizioni carcerarie erano estreme: celle sovraffollate, cibo scarso e immangiabile, mancanza di igiene, e una costante tensione dovuta all’incertezza del proprio destino. Molti detenuti uscivano dalle Nuove solo per essere inviati al lavoro coatto in Germania, deportati nei lager o giustiziati. I prigionieri vivevano nell’angoscia di udire ogni mattina il rumore delle catene, preludio di esecuzioni sommarie o deportazioni.

Il carcere di Le Nuove fu un punto nodale per la deportazione degli ebrei e degli oppositori politici verso i lager nazisti. Gli ebrei, spesso rastrellati in città o nelle zone limitrofe, venivano detenuti in attesa di essere trasferiti nei campi di transito come Fossoli o direttamente verso i lager di sterminio. Tra le vittime figurano molti membri della comunità ebraica di Torino e persone catturate mentre cercavano di attraversare il confine svizzero.

Nonostante il clima di terrore, all’interno del carcere si svilupparono forme di resistenza. I detenuti politici, rinchiusi nel quarto braccio, riuscirono in alcuni casi a stabilire contatti con l’esterno, grazie all’aiuto degli operai delle vicine fabbriche come la Westinghouse. Suor Giuseppina De Muro e padre Ruggero Cipolla, cappellano del carcere, si adoperarono per alleviare le sofferenze dei prigionieri, spesso rischiando la propria vita per garantire la loro incolumità.

All’avvicinarsi della Liberazione, le Nuove divennero un punto focale di tensioni. Nei giorni dell’insurrezione del 25 aprile 1945, i detenuti politici approfittarono della sorveglianza allentata per tentare fughe e organizzare azioni di ribellione. Il 27 aprile, i partigiani della III Brigata Giustizia e Libertà, in collaborazione con i lavoratori della Westinghouse, riuscirono a entrare nel carcere, decretando la resa del comandante fascista Gino Cera e avviando la liberazione dei detenuti.

Carcere “Le Nuove” di Torino

Il carcere giudiziario di Torino, noto come Le Nuove, rappresentò un luogo centrale della repressione nazifascista tra il 1943 e il 1945. Edificato nella seconda metà dell’Ottocento secondo il modello del “panopticon”, il carcere fu destinato durante il regime fascista alla detenzione degli oppositori politici. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca, divenne uno dei principali strumenti della persecuzione nazifascista, ospitando operai, ebrei, partigiani e renitenti alla leva.

Con l’occupazione nazista, un intero braccio del carcere fu gestito direttamente dalle SS. Qui si registrarono numerosi episodi di violenza, interrogatori brutali e torture, spesso condotte su ebrei e partigiani. Il braccio tedesco divenne tristemente noto per le condizioni di vita disumane e le atroci sofferenze inflitte ai prigionieri. Uno degli episodi più drammatici fu la morte di Emanuele Artom, giovane partigiano ebreo, commissario politico della V Divisione Giustizia e Libertà, che morì il 7 aprile 1944 a seguito di torture. Il suo corpo, sepolto nei dintorni di Torino, non venne mai ritrovato.

Le condizioni carcerarie erano estreme: celle sovraffollate, cibo scarso e immangiabile, mancanza di igiene, e una costante tensione dovuta all’incertezza del proprio destino. Molti detenuti uscivano dalle Nuove solo per essere inviati al lavoro coatto in Germania, deportati nei lager o giustiziati. I prigionieri vivevano nell’angoscia di udire ogni mattina il rumore delle catene, preludio di esecuzioni sommarie o deportazioni.

Il carcere di Le Nuove fu un punto nodale per la deportazione degli ebrei e degli oppositori politici verso i lager nazisti. Gli ebrei, spesso rastrellati in città o nelle zone limitrofe, venivano detenuti in attesa di essere trasferiti nei campi di transito come Fossoli o direttamente verso i lager di sterminio. Tra le vittime figurano molti membri della comunità ebraica di Torino e persone catturate mentre cercavano di attraversare il confine svizzero.

Nonostante il clima di terrore, all’interno del carcere si svilupparono forme di resistenza. I detenuti politici, rinchiusi nel quarto braccio, riuscirono in alcuni casi a stabilire contatti con l’esterno, grazie all’aiuto degli operai delle vicine fabbriche come la Westinghouse. Suor Giuseppina De Muro e padre Ruggero Cipolla, cappellano del carcere, si adoperarono per alleviare le sofferenze dei prigionieri, spesso rischiando la propria vita per garantire la loro incolumità.

All’avvicinarsi della Liberazione, le Nuove divennero un punto focale di tensioni. Nei giorni dell’insurrezione del 25 aprile 1945, i detenuti politici approfittarono della sorveglianza allentata per tentare fughe e organizzare azioni di ribellione. Il 27 aprile, i partigiani della III Brigata Giustizia e Libertà, in collaborazione con i lavoratori della Westinghouse, riuscirono a entrare nel carcere, decretando la resa del comandante fascista Gino Cera e avviando la liberazione dei detenuti.