IL RUOLO DELLE
CARCERI NELLA
DEPORTAZIONE

IL RUOLO DELLE
CARCERI NELLA
DEPORTAZIONE

IL RUOLO DELLE
CARCERI NELLA
DEPORTAZIONE

Carcere di Marassi, Genova

Durante l’occupazione nazifascista, il carcere di Marassi a Genova divenne un luogo centrale per la repressione politica e la persecuzione di partigiani, oppositori ebrei e antifascisti. La sezione IV del carcere, destinata ai prigionieri politici, fu direttamente gestita dai nazisti e si trasformò in un centro di detenzione, tortura e deportazione. Questo tragico ruolo si inserisce nel contesto delle operazioni guidate da Siegfried Engel, capo dell’Aussenkommando Sicherheitsdienst di Genova, incaricato della repressione contro la Resistenza e del controllo della popolazione.

Engel, che assunse il comando nel gennaio 1944, condusse una politica di terrore con rastrellamenti e rappresaglie spietate. Tra i momenti più drammatici spiccano due episodi di rappresaglia: la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1944, 22 partigiani furono prelevati dalla sezione IV e fucilati a Portofino come vendetta per l’uccisione di 21 militari della Repubblica Sociale Italiana. Pochi mesi dopo, nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1945, altri 20 prigionieri furono giustiziati nei pressi di Cravasco, in risposta all’uccisione di nove soldati tedeschi in uno scontro con partigiani. Questi eventi, documentati nel Diario da Marassi del generale Remigio Vigliero, mostrano il clima di angoscia e violenza che permeava il carcere.

La tortura era una pratica sistematica utilizzata a Marassi per ottenere informazioni o semplicemente per infliggere dolore. La gestione tedesca, sotto il controllo di ufficiali come Ernest Poikert e poi il maresciallo Lassner, si avvaleva del sostegno di collaboratori italiani. Tra questi spiccava Giuseppe Nicoletti, ex cameriere di Bolzano, che non solo fungeva da interprete, ma torturava personalmente i detenuti con metodi brutali, contribuendo a creare un clima di terrore.

Il carcere fu anche teatro di deportazioni di ebrei. Nel febbraio 1944, il Capo della provincia di Genova ordinò il trasferimento degli ebrei a Marassi, mettendoli “a disposizione del Comando SS di Genova”. Molti di loro, arrestati in retate spesso fallimentari, furono poi trasferiti a Milano e infine deportati nei campi di sterminio, tra cui Auschwitz.

Marassi non era solo un luogo di detenzione, ma anche un tassello del sistema repressivo nazista nella regione ligure. Engel organizzò una rete di spionaggio e controbande, squadre di SS e fascisti travestiti da partigiani, per infiltrarsi nelle formazioni resistenziali e raccogliere informazioni. La struttura del carcere divenne quindi un punto nodale nella lotta contro la Resistenza e nella persecuzione sistematica di oppositori politici ed ebrei.

Carcere di Marassi, Genova

Durante l’occupazione nazifascista, il carcere di Marassi a Genova divenne un luogo centrale per la repressione politica e la persecuzione di partigiani, oppositori ebrei e antifascisti. La sezione IV del carcere, destinata ai prigionieri politici, fu direttamente gestita dai nazisti e si trasformò in un centro di detenzione, tortura e deportazione. Questo tragico ruolo si inserisce nel contesto delle operazioni guidate da Siegfried Engel, capo dell’Aussenkommando Sicherheitsdienst di Genova, incaricato della repressione contro la Resistenza e del controllo della popolazione.

Engel, che assunse il comando nel gennaio 1944, condusse una politica di terrore con rastrellamenti e rappresaglie spietate. Tra i momenti più drammatici spiccano due episodi di rappresaglia: la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1944, 22 partigiani furono prelevati dalla sezione IV e fucilati a Portofino come vendetta per l’uccisione di 21 militari della Repubblica Sociale Italiana. Pochi mesi dopo, nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1945, altri 20 prigionieri furono giustiziati nei pressi di Cravasco, in risposta all’uccisione di nove soldati tedeschi in uno scontro con partigiani. Questi eventi, documentati nel Diario da Marassi del generale Remigio Vigliero, mostrano il clima di angoscia e violenza che permeava il carcere.

La tortura era una pratica sistematica utilizzata a Marassi per ottenere informazioni o semplicemente per infliggere dolore. La gestione tedesca, sotto il controllo di ufficiali come Ernest Poikert e poi il maresciallo Lassner, si avvaleva del sostegno di collaboratori italiani. Tra questi spiccava Giuseppe Nicoletti, ex cameriere di Bolzano, che non solo fungeva da interprete, ma torturava personalmente i detenuti con metodi brutali, contribuendo a creare un clima di terrore.

Il carcere fu anche teatro di deportazioni di ebrei. Nel febbraio 1944, il Capo della provincia di Genova ordinò il trasferimento degli ebrei a Marassi, mettendoli “a disposizione del Comando SS di Genova”. Molti di loro, arrestati in retate spesso fallimentari, furono poi trasferiti a Milano e infine deportati nei campi di sterminio, tra cui Auschwitz.

Marassi non era solo un luogo di detenzione, ma anche un tassello del sistema repressivo nazista nella regione ligure. Engel organizzò una rete di spionaggio e controbande, squadre di SS e fascisti travestiti da partigiani, per infiltrarsi nelle formazioni resistenziali e raccogliere informazioni. La struttura del carcere divenne quindi un punto nodale nella lotta contro la Resistenza e nella persecuzione sistematica di oppositori politici ed ebrei.