CHI
POTEVA
FINIRE NELLE
CARCERI FASCISTE
POTEVA
FINIRE NELLE
CARCERI FASCISTE
CHI
POTEVA
FINIRE NELLE
CARCERI FASCISTE
POTEVA
FINIRE NELLE
CARCERI FASCISTE
CHI
POTEVA
FINIRE NELLE
CARCERI FASCISTE
Contestualizzazione storica
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Nel 1926, il regime fascista, sfruttando gli attentati contro Mussolini, abolì le ultime garanzie civili e politiche e ripristinò la pena di morte, abolita dal 1899.
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Con il regio decreto n. 1848 del 6 novembre e la legge per la difesa dello Stato del 25 novembre, fu instaurata una legislazione repressiva che portò alla persecuzione degli antifascisti tramite processi, incarcerazioni e deportazioni.
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Dal 1927 al 1943, il Tribunale Speciale:
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Processò 5619 antifascisti.
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Condannò 4596 persone, di cui 42 alla pena capitale, per un totale di 27.735 anni di carcere.
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Circa 3000 antifascisti furono detenuti in via preventiva senza processo, mentre 746 furono deferiti ai tribunali ordinari.
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Condizioni di vita nelle carceri
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Le carceri erano caratterizzate da condizioni di vita estremamente dure:
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Celle di 2,5×3 metri, ospitavano fino a 3 persone, mentre i cameroni accoglievano 20-30 detenuti.
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Mancavano gabinetti adeguati, sostituiti dal bugliolo, con scarso accesso a luce e aria.
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Razioni alimentari:
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600 grammi di pane al giorno.
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1 litro di minestra.
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Carne lessa solo la domenica.
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Sopravvitto acquistabile con meno di 5 lire al giorno.
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Le giornate seguivano una rigida routine con sveglia alle 7, un’ora d’aria e silenzio obbligatorio dalle 19:30, con frequenti controlli notturni.
Organizzazione clandestina
-
I collettivi politici, principalmente guidati da comunisti (circa il 70% dei detenuti), costituivano il nucleo della resistenza interna.
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Attività:
-
Studio e discussioni ideologiche, utilizzando testi marxisti e libri antifascisti introdotti clandestinamente.
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Trascrizioni di opere di Marx e Lenin su materiali di fortuna, come cartine da sigarette.
-
Lettura di giornali economici come Il Sole per accedere a informazioni politiche.
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-
Nonostante la prudenza, i traffici di libri e materiali furono spesso scoperti. Nel 1941, la polizia sequestrò materiali clandestini e centralizzò i detenuti più “pericolosi” in tre carceri: Civitavecchia (RM), Castelfranco Emilia (MO) e Fossano (CN).
Disciplina morale
-
Nei collettivi, l’appartenenza era considerata un titolo d’onore, riservato a chi non aveva collaborato con il regime o richiesto grazia.
-
La resistenza morale era rigorosa, come dimostrato dal caso di un detenuto malato di tubercolosi che rifiutò di chiedere la grazia, considerata un cedimento al regime.
Punizioni e repressione
-
Le punizioni comprendevano:
-
Isolamento fino a 3 mesi, con restrizioni alimentari e divieto di fumare o acquistare sopravvitto.
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Torture e violenze, come il caso di Scevola Ricciaputi, ucciso nel 1939 a Civitavecchia.
-
-
Queste condizioni debilitavano gravemente i detenuti, spesso portandoli al limite fisico.
Carceri principali
-
Regina Coeli (Roma): luogo di transito iniziale per i detenuti politici.
-
Civitavecchia: ospitava il 70-80% dei politici, con una struttura migliore sul piano igienico ma con disciplina molto rigida.
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Castelfranco Emilia: penitenziario per condannati del nord Italia.
-
Fossano: accoglieva antifascisti, combattenti iugoslavi e maquisards francesi.
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Altre carceri: Santo Stefano (LT), Volterra (PI), Turi di Bari e La Pianosa (LI).
Centralizzazione e resistenza organizzata
-
Dal 1931, con il Codice Rocco, fu abolita la segregazione cellulare, permettendo ai detenuti politici di organizzarsi in cameroni collettivi.
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Nel 1932, i detenuti politici furono centralizzati a Civitavecchia, dove riuscirono a ricostruire una rete clandestina e trasformare le carceri in centri di formazione politica.
-
Durante i bombardamenti del 1943, molti detenuti furono trasferiti verso carceri più interne, come Sulmona (AQ) e San Gimignano (SI).
Caduta del fascismo e rilasci graduali
-
Nel luglio 1943, il Tribunale Speciale fu soppresso e molti detenuti antifascisti furono rilasciati, ma non tutti:
-
Gli anarchici, gli “allogeni” della Venezia Giulia e i condannati per spionaggio rimasero incarcerati.
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Emilio Sereni, condannato a 18 anni nel 1945, fu liberato solo dopo proteste.
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Conclusione
Le carceri fasciste furono un simbolo della repressione del regime, ma anche della resistenza morale, politica e intellettuale. Attraverso i collettivi e le attività clandestine, i detenuti antifascisti contribuirono alla formazione dei quadri dirigenti della Resistenza e della futura Italia democratica.
La persecuzione degli oppositori
Carlo Venegoni aveva vent’anni quando il fascismo andò al potere. Operaio e socialista, la sua storia è l’emblema di cosa accadeva a chi decideva di opporsi al regime. Suo figlio Dario, ci racconta la sua storia.
Approfondimenti audio
Dopo la presa del potere, Mussolini lavorò per instaurare la dittatura e mettere a tacere il dissenso. Dopo la nascita del ‘Grande fratello fascista’ ovvero dell’Ovra, la polizia segreta del fascismo che fu spunto poi per la Gestapo nazista, si poteva finire in carcere per i motivi più svariati. Con l’aiuto degli storici, cerchiamo di far luce su questi aspetti
Contestualizzazione storica
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Nel 1926, il regime fascista, sfruttando gli attentati contro Mussolini, abolì le ultime garanzie civili e politiche e ripristinò la pena di morte, abolita dal 1899.
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Con il regio decreto n. 1848 del 6 novembre e la legge per la difesa dello Stato del 25 novembre, fu instaurata una legislazione repressiva che portò alla persecuzione degli antifascisti tramite processi, incarcerazioni e deportazioni.
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Dal 1927 al 1943, il Tribunale Speciale:
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Processò 5619 antifascisti.
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Condannò 4596 persone, di cui 42 alla pena capitale, per un totale di 27.735 anni di carcere.
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Circa 3000 antifascisti furono detenuti in via preventiva senza processo, mentre 746 furono deferiti ai tribunali ordinari.
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Condizioni di vita nelle carceri
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Le carceri erano caratterizzate da condizioni di vita estremamente dure:
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Celle di 2,5×3 metri, ospitavano fino a 3 persone, mentre i cameroni accoglievano 20-30 detenuti.
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Mancavano gabinetti adeguati, sostituiti dal bugliolo, con scarso accesso a luce e aria.
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Razioni alimentari:
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600 grammi di pane al giorno.
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1 litro di minestra.
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Carne lessa solo la domenica.
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Sopravvitto acquistabile con meno di 5 lire al giorno.
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Le giornate seguivano una rigida routine con sveglia alle 7, un’ora d’aria e silenzio obbligatorio dalle 19:30, con frequenti controlli notturni.
Organizzazione clandestina
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I collettivi politici, principalmente guidati da comunisti (circa il 70% dei detenuti), costituivano il nucleo della resistenza interna.
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Attività:
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Studio e discussioni ideologiche, utilizzando testi marxisti e libri antifascisti introdotti clandestinamente.
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Trascrizioni di opere di Marx e Lenin su materiali di fortuna, come cartine da sigarette.
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Lettura di giornali economici come Il Sole per accedere a informazioni politiche.
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Nonostante la prudenza, i traffici di libri e materiali furono spesso scoperti. Nel 1941, la polizia sequestrò materiali clandestini e centralizzò i detenuti più “pericolosi” in tre carceri: Civitavecchia (RM), Castelfranco Emilia (MO) e Fossano (CN).
Disciplina morale
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Nei collettivi, l’appartenenza era considerata un titolo d’onore, riservato a chi non aveva collaborato con il regime o richiesto grazia.
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La resistenza morale era rigorosa, come dimostrato dal caso di un detenuto malato di tubercolosi che rifiutò di chiedere la grazia, considerata un cedimento al regime.
Punizioni e repressione
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Le punizioni comprendevano:
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Isolamento fino a 3 mesi, con restrizioni alimentari e divieto di fumare o acquistare sopravvitto.
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Torture e violenze, come il caso di Scevola Ricciaputi, ucciso nel 1939 a Civitavecchia.
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Queste condizioni debilitavano gravemente i detenuti, spesso portandoli al limite fisico.
Carceri principali
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Regina Coeli (Roma): luogo di transito iniziale per i detenuti politici.
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Civitavecchia: ospitava il 70-80% dei politici, con una struttura migliore sul piano igienico ma con disciplina molto rigida.
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Castelfranco Emilia: penitenziario per condannati del nord Italia.
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Fossano: accoglieva antifascisti, combattenti iugoslavi e maquisards francesi.
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Altre carceri: Santo Stefano (LT), Volterra (PI), Turi di Bari e La Pianosa (LI).
Centralizzazione e resistenza organizzata
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Dal 1931, con il Codice Rocco, fu abolita la segregazione cellulare, permettendo ai detenuti politici di organizzarsi in cameroni collettivi.
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Nel 1932, i detenuti politici furono centralizzati a Civitavecchia, dove riuscirono a ricostruire una rete clandestina e trasformare le carceri in centri di formazione politica.
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Durante i bombardamenti del 1943, molti detenuti furono trasferiti verso carceri più interne, come Sulmona (AQ) e San Gimignano (SI).
Caduta del fascismo e rilasci graduali
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Nel luglio 1943, il Tribunale Speciale fu soppresso e molti detenuti antifascisti furono rilasciati, ma non tutti:
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Gli anarchici, gli “allogeni” della Venezia Giulia e i condannati per spionaggio rimasero incarcerati.
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Emilio Sereni, condannato a 18 anni nel 1945, fu liberato solo dopo proteste.
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